Biblioconsigli: Il lecchino attraverso i secoli. Breve storia di un’arte infame
- Manuela De Noia
- 29 mar 2019
- Tempo di lettura: 4 min
Perché leggere Breve trattato sul lecchino (La nave di Teseo, 2019) di Antimo Cesaro? Perché è un utile vademecum per riconoscere il lecchino e tenersene alla larga.
L’autore inizia il suo breve trattato proponendo una tassonomia del lecchino - essere amorfo e nello stesso tempo ibrido – che paragona al camaleonte come fece d’altronde l’Alciati (1577), nel suo libro di Emblemi. Dal punto di vista etimologico, camaleonte significa “leone (che striscia) sulla terra” e, come questo animale, il lecchino si mimetizza con l’ambiente circostante, ma non appena inquadra l’ignara preda, la sua lingua viscida e appiccicosa fulmineamente la cattura. Per altri versi, essendo un essere privo di spiccate qualità, potrebbe essere accostato anche ad un invertebrato e quindi, secondo Cesaro, più simile ad un verme: “il lecchino, come il verme parassita, nel suo silenzioso e indefesso lavoro di decomposizione della materia, è sublime metafora di un’insidiosa potenza distruttiva. Una distruzione, ovviamente, non fine a se stessa ma, potremmo dire, “strategica”, “progettuale”.
Il lecchino, infatti, è lungimirante ed essendo dotato di una grande pazienza, lecca oggi per incassare domani. Alla fine, quest’essere spudorato, in quanto capace di leccare in maniera servile anche posti osceni, rinunciando a qualsiasi dignità umana, come in un rituale sabbatico tra adepto e Satana, “a furia di ingoiare rospi, sorridere a comando, applaudire e leccare scarpe e altro, con modestia, senza fiatare […] assumerà via via posizioni di sempre maggiore rilievo nell’ambito di un ministero, di un’università, di un movimento politico, di un ordine professionale: da precario a piccolo burocrate, da funzionario a quadro, da dirigente a direttore generale”.
Cesaro delinea una breve storia della piaggeria, dall’antichità fin quasi ai giorni nostri, fermandosi alle soglie del Novecento ed omettendo consapevolmente di trattare la volgare contemporaneità in cui viviamo. Il motivo è che, in tal modo, il contenuto del breve trattato potrà essere valido ed esercitare la stessa influenza della lettura di un classico intramontabile, in quanto non legato al reportage giornalistico dei giorni nostri. L’adulazione è antica come il mondo, patrimonio del DNA, tanto che è difficile stabilire con certezza quale sia il mestiere più antico, se il meretricio o la piaggeria, anche se “ci sono cose che una prostituta non fa”. La visione morale nei confronti della ruffianeria non è stata sempre uguale in tutte le epoche. I greci, per esempio, preferivano la parresia, cioè il parlare con franchezza piuttosto che leccare le mani, i piedi o qualcosa di più infimo. E consideravano gli adulatori pericolosi, come ammonì Antistene: “meglio capitare tra i corvi che tra gli adulatori; […] gli uni divorano i cadaveri, gli altri i vivi.” I romani invece valutavano l’arte adulatoria, vizio e virtù, strumento e dote, a seconda delle finalità.
Nel Medioevo l’adulazione viene vista come qualcosa di peccaminoso, poiché l’inganno è all’opposto della verità divina. Dante, il più severo censore tra i letterati, relega gli adulatori nell’ottavo girone dell’Inferno, quello dei fraudolenti, e “col capo sì di merda lordo”, la giusta punizione per aver lusingato in vita, così tanto, da non aver mai la lingua stucca. Nel Rinascimento l’adulazione perde la sua connotazione negativa di peccato capitale e diventa espressione dell’individualismo umanista, poiché la virtù e lo stato sociale ora non dipendevano più solo dai nobili natali, ma anche dal proprio comportamento. Fiorisce un tipo di letteratura che consiglia strategie e regole ad uso di arrampicatori sociali di ogni tipo. Il più famoso di questi manuali è Il Cortegiano di Baldassarre Castiglione, pubblicato nel 1528, che suggeriva al cortigiano una certa “sprezzatura” nel consigliare il suo signore, proteggendolo dai pericolosi ruffiani senza scrupoli.
Il breve trattato, si chiude con la descrizione del diverso atteggiamento assunto da due grandi scrittori a noi quasi contemporanei: il Manzoni e il Carducci. Alessandro Manzoni, rappresenta la speranza. Egli sceglie di adulare Napoleone dedicandogli Il cinque maggio, solo dopo la sua dipartita “Lui folgorante in solio vide il mio genio e tacque […] vergin di servo encomio e di codardo oltraggio, sorge or commosso al sùbito sparir di tanto raggio; e scioglie all’urna un cantico che forse non morrà.” Giosuè Carducci, al contrario, preferì adulare in vita per raggiungere il successo e, per aver voltato le spalle agli ideali repubblicani e anticlericali con l’adesione alla monarchia, venne aspramente criticato da Mario Rapisardi che definì il nostro primo premio Nobel per la letteratura, per aver dedicato un’ode alla regina Margherita “adulatore servile di gonne real umil lecchino”.
Antimo Cesaro conclude con una riflessione sul vil lecchino che è anche una piccola soddisfazione che possiamo immaginare per il lettore. Il lecchino, raggiunto il vertice della sua carriera, non avendo più natiche da leccare, resterà solo e a nulla più sarà utile il suo savoir-faire. Prima o poi, il lecchino dovrà guardarsi allo specchio e lì forse, con un brandello della sua stessa coscienza e in qualche raro momento di lucidità, è costretto a riconoscere a se stesso quello che è: “una pura nullità”. Il lecchino, infatti, non riconoscerà mai davanti agli altri la pochezza del suo esistere nel mondo, ma probabilmente a se stesso sarà costretto a riconoscerlo e forse, come auspica l’autore, si odierà. Forse.
Adulatori, cortigiani e lecchini nel mondo dell'arte, a cura di Manuela De Noia. Video realizzato in occasione della presentazione del Breve trattato sul lecchino di Antimo Cesaro, tenutasi a Benevento - Palazzo Paolo V, il 24 marzo 2019.
Sono intervenuti: Manuela De Noia, bibliotecaria; Giancristiano Desiderio, giornalista e saggista; Michele Lanna, docente presso l’Università della Campania Luigi Vanvitelli. Moderatore il giornalista Billy Nuzzolillo. L’evento è stato organizzato da IDEAS Sannio in collaborazione con il Distretto culturale “Per terre, per bellezza, per santità”.
Le foto dell'iniziativa sono state gentilmente concesse da Antonio Caporaso.
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